23 luglio 2019: Vittorio Zucconi, Il lato fresco del cuscino

Il quinto libro scelto dal gruppo di lettura della Rendella è “Il lato fresco del cuscino di Vittorio Zucconi.

L’AUTORE
Vittorio Zucconi, classe ’44, celebre giornalista di Repubblica , ex direttore di repubblica.it e fino al 2018 di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Ha lavorato per La Stampa e il Corriere della Sera, come inviato a Mosca durante la Guerra Fredda. E’ stato corrispondente, tra gli altri, in Giappone, Belgio, Russia, Francia e Stati Uniti. Dal 1985 ha vissuto negli Stati Uniti dove ha ricoperto per 30 anni l’incarico di editorialista per Repubblica, per la durata di sei presidenti. Ha pubblicato inoltre vari libri, tra i quali: Il Giappone tra noi (Garzanti, 1986), Si fa presto a dire America (Mondadori, 1988), Parola di giornalista (Rizzoli, 1990), Gli spiriti non dimenticano (Mondadori, 1996), George. Vita e miracoli di un uomo fortunato (Feltrinelli, 2004), Il caratteraccio (Mondadori, 2010) e Il lato fresco del cuscino (Feltrinelli 2018).

IL LIBRO
Erano anni che Vittorio Zucconi non scriveva libri, quando un episodio lo turbò: era la sera del martedi 8 novembre del 2016, e alla mezzanotte, era apparso inevitabile che un uomo inverosimile, chiamato Donald Trump, era riuscito a diventare presidente degli Stati Uniti e con lui tutto il peggio che da sempre dorme nel ventre di una nazione era affiorato e aveva affermato il desiderio di invertire il movimento della storia; prevalse lo spirito di un’America rancorosa, cattiva e sconfitta. Lo assalì un pensiero angoscioso: forse non avrebbe avuto il tempo di vivere abbastanza per vedere l’America, in cui aveva scelto di vivere e trapiantare la famiglia, risollevarsi dalla “triste” condizione in cui sarebbe piombata. Restavano, per scuotersi dalla depressione, le cose, gli oggetti che avrebbero potuto raccontare del tempo più bello, della speranza, delle illusioni. Dunque decise di scrivere. Nell’esperienza nomadica di inviato si rimane sempre “ormeggiati” alle cose. Sono la miccia che accende il ricordo delle situazioni che ha vissuto. Vittorio Zucconi avrebbe voluto scrivere un’autobiografia delle cose che raccontano la nostra vita e non un saggio, anche perché, dice Zucconi, noi giornalisti cominciamo a eccedere nel voler spiegare un mondo che per primi noi non abbiamo ben capito. Quindi le cose che ci aiutano a vivere. Decide di metter mano nei detriti di una vita e si rende conto di quanto avessero segnato i momenti, le lune, lo scorrere del tempo e di come esse avessero avuto un’anima, che era poi la sua stessa. Un viaggio nella memoria in compagnia della radio, della Lettera 22 paterna a cadenzare le insonnie infantili, della Bianchina, del videoregistratore Sony (La Betamax), frutto dimenticato di anonimi ingegneri della Sony, per sfuggire alla noia asfissiante dei plumbei inverni sovietici, della mostarda cremonese di frutta, attraverso i dibattiti metafisici sulla piadina perfetta di Milano Marittima, i wafer all’alba della liberazione di Kuwait City. Sono le cose che nelle notti insonni Zucconi vede riaffiorare dal passato affondando nel lato più fresco del cuscino. Il più personale dei circa venti che ha scritto in cinquant’anni di vita raminga da inviato. Gli States di 14 campagne presidenziali, l’Urss, Cuba, la prima Guerra del Golfo, l’infanzia, la famiglia, i traslochi, i cani e i gatti (che non sono cose naturalmente, ma hanno fatto la mia vita e l’hanno resa un poco più bella).

 

Titolo: Il lato fresco del cuscino

Autore: Vittorio Zucconi

Editore: Feltrinelli

Anno: 2018

Lingua: Italiano

Isbn: 9788807070389

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11 giugno 2019: Elsa Morante, L’isola di Arturo

Il quarto libro scelto dal gruppo di lettura della Rendella è “L’isola di Arturo di Elsa Morante.

L’AUTORE
Elsa Morante nasce a Roma nel 1912. Inizia molto giovane a scrivere favole, filastrocche e racconti per ragazzi pubblicati su diversi giornali, fra i quali il «Corriere dei Piccoli» e «Oggi». Una serie di questi racconti giovanili confluisce nel suo primo libro, Il gioco segreto, uscito nel 1941 e seguito l’anno dopo da Le bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina. Nel 1936 conosce Alberto Moravia, che sposerà nel 1941. L’opera che l’ha imposta all’attenzione della critica è Menzogna e sortilegio (1948, premio Viareggio), la cui vicenda precisa la vocazione favolosa e magica della Morante nei suoi termini di angosciosa separazione dalla realtà. Il tema della solitudine, nutrita di miti ambigui e funesti, torna nel romanzo L’isola di Arturo (1957), storia della difficile maturazione di un ragazzo che vive nel paesaggio immobile dell’isola di Procida, all’ombra del grande penitenziario. Nel 1961 si separa da Moravia. Dopo la raccolta di versi Alibi (1958) e i racconti dello Scialle andaluso (1963), il libro che ha segnato una svolta nella poetica della scrittrice è Il mondo salvato dai ragazzini (1968), articolato in testi dalla forma prevalentemente poematica (con strutture strofiche che ricordano gli esperimenti della neoavanguardia), in cui si accostano inoltre il dramma alla satira, ma con un unico elemento unificante: una sorta di tensione vitalistica che libera i fantasmi della sofferenza e la fiducia accordata ai «ragazzetti celesti», ingenui portatori dell’unica possibile felicità. La visione utopica è anche alla base del romanzo, intitolato La storia (1974), un vasto affresco in cui si racconta l’odissea bellica dell’Italia e del mondo (1941-47) riflessa nell’umile microcosmo d’una famiglia romana. Nel romanzo, intitolato Aracœli (1982), l’autrice disegna il ritratto dolente di un personaggio «diverso», disperatamente proteso a ricostruire l’amata figura materna, perduta e irraggiungibile. Dopo un lungo periodo di malattia muore a Roma nel 1985. Postumi sono usciti, da Einaudi come quasi tutti i suoi libri, il Diario 1938 e i Racconti dimenticati. Nel 2012 è uscito, sempre per Einaudi, L’amata. Lettere di e a Elsa Morante (Fuori Collana), curato dal nipote Daniele Morante; nel 2013 La serata a Colono (Collezione di teatro), suo unico testo teatrale, e Aneddoti infantili (L’Arcipelago). Nel 1970 Carmelo Bene, che lo considerava «il capolavoro della Morante, vertice della poesia italiana del Novecento», progettò di farne una versione cinematografica con Eduardo De Filippo, ma il progetto non andò in porto. Non è stato rappresentato per più di quarant’anni, fino alla messa in scena del 2013 con la regia di Mario Martone, Carlo Cecchi nella parte di Edipo e Antonia Truppo in quella di Antigone.
L’opera complessiva dell’autrice è raccolta in due volumi nei Meridiani Mondadori, a cura di Cesare Garboli.

IL LIBRO
Nel romanzo intitolato L’Isola di Arturo il protagonista racconta, in prima persona e in forma di ricordo, la propria fanciullezza, libera e felice nell’isola di Procida. Orfano di madre isolana, il ragazzo vive nella casa che il padre, Wilhelm Gerace, d’origine italo-austriaca, ha ereditato da Romeo L’Amalfitano, nemico delle donne e la cui misoginia sembrerebbe aver stregato la stessa dimora. Arturo trascorre il tempo, tra giochi e vagabondaggi, in compagnia della cagna Immacolatella e del padre, che ai suoi occhi adoranti di fanciullo pare un eroe affascinante e ambiguo per la bellezza e le continue, misteriose assenze. L’autrice esplora attentamente la fanciullezza, condizione pre-cosciente di grazia e nel romanzo diviene tema principale. Con tale centralità, si vuole raccontare l’assolutezza, l’unicità irripetibile dell’infanzia, simbolicamente affidata e riflessa nell’isola. L’isola ha valore di metafora, in cui il protagonista attraverserà le prove necessarie a prepararsi alla sua trasformazione e dall’isola potrà finalmente uscire solo dopo aver traversato il mare materno: passaggio dalla preistoria infantile verso la storia e la coscienza della maturità attraverso le coordinate di un destino segnato da ascendenze celesti e araldiche (Re e stella del cielo).

 

Titolo: L’isola di Arturo

Autore: Elsa Morante

Editore: Einaudi

Anno: 1957

Lingua: Italiano

Isbn:

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8 maggio 2019: Irène Nèmirovsky, Il vino della solitudine

Il terzo libro scelto dal gruppo di lettura della Rendella è “Il vino della solitudine di Irène Nèmirovsky.

L’AUTORE
Irène Nèmirovsky, nota anche come la scrittrice che visse due volte, è stata riscoperta solo negli ultimi anni, grazie al suo romanzo incompiuto Suite Francese. Nata a Kiev, in Ucraina, da una famiglia ebrea benestante (il padre era banchiere), la scrittrice ha vissuto in Russia fino alla rivoluzione d’autunno. Poiché i Némirovsky erano vicini allo Zar, si dovettero trasferire in Scandinavia e infine in Francia, dove la famiglia era già solita trascorrere le vacanze. Irène crebbe con una bambinaia francese fin dalla tenera età, tanto che imparò prima il francese del russo. Il Ballo, una delle sue novelle più famose, prende spunto dal rapporto dal difficile con la madre Fanny. Anche al padre Irène non risparmia le critiche, tanto che il suo David Golder, emblema dell’ebreo arrivista e assetato di denaro, sembra proprio ispirato alla figura paterna. Nonostante l’infanzia solitaria (o proprio grazie ad essa), Irène si dedica alla lettura e alla scrittura fin da giovanissima e nel 1927, a soli 24 anni, pubblica la sua prima opera, L’Enfant Genial. Intanto studia lettere alla Sorbona e conosce sette lingue tra cui il russo, il francese, l’inglese e l’yiddish. Nel 1926 sposa l’ingegnere russo Michel Epstein con cui ha due figlie e nel 1929 diventa celebre con il suo David Golder, per via del quale la scrittrice è accusata di antisemitismo, dovuto, secondo i suoi detrattori, all’aspra ironia con cui dipinge il protagonista eponimo del romanzo. Sia quest’opera che Il Ballo vengono adattate per il cinema. Intanto Irène Némirovsky scrive anche numerosi racconti per alcune riviste. Nonostante la fama e il successo, nel 1935 il governo francese rifiuta la sua richiesta di cittadinanza. Con l’inasprirsi delle leggi razziali, nel 1939 si fa battezzare cattolica a Parigi, ma nel 1940 le viene proibito di pubblicare, anche se l’editore Horace de Carbuccia viola la legge continuando a occuparsi delle sue opere. Si trasferisce in campagna con la famiglia e lavora a Suite Francese. Scompare il 17 agosto del 1942 nel campo di concentramento di Auschwitz dopo un solo mese dalla deportazione. Invano il marito e i suoi editori si mobilitano per ritrovarla. Malata di tifo, viene uccisa ad Auschwitz. Le figlie, tuttavia, raccolgono i lavori della madre e permettono la pubblicazione di Suite Francese. Inoltre, basandosi sui diari e i carteggi della donna, ne scrivono la biografia, Mirador.

IL LIBRO
Il vino della solitudine (1935) è “di Irene Nemirovsky per Irene Nemirovsky”: così lo definisce l’Autrice stessa, a voler sottolineare l’aspetto profondamente terapeutico della scrittura del libro. Romanzo di formazione e indagine profonda sui dolori dell’infanzia di Helene, il suo doppio, il suo sosia letterario, di cui seguiremo le gesta dagli otto ai ventun anni, passando dalla vita sonnolenta della provincia russa ai fasti di San Pietroburgo, approdando temporaneamente in Finlandia, e infine a Parigi per sfuggire alla rivoluzione bolscevica. Nella sua nomadica esistenza compaiono la figura materna, paterna, la sua balia: le figure femminili in netta antitesi tra di loro, la madre, Bella Karol, annoiata, arida, capricciosa, viziata, “ossessionata” dai suoi amanti, e la nania, Madamoiselle Rose, di origini francesi e oltremodo dedita alla sua Helene; il padre, odiato dalla sua mamma, colpevole di far finta di nulla, ha la passione per il gioco d’azzardo, e il suo vocabolario si restringe e si limita alle parole “azioni”, vendere, comprare, milioni. Helene vive in un deserto affettivo e linguistico, cresce nel suo mondo immaginario fatto di soldatini, di lettura e scrittura. Il conflitto tra madre e figlia è insanabile e la perdita, che scaturisce da quell’odio, la mancanza primigenia è insanabile: la distruzione dell’amore materno è la distruzione stessa della felicità aurorale. Nel romanzo la vicenda autobiografica è tutta in primo piano e sullo sfondo la Storia con la S maiuscola: i fatti storici, rivoluzionari, devono essere sfiorati, mentre quella che viene approfondita è la vita quotidiana, affettiva, e soprattutto la commedia che è lo specchio della realtà di tutti i giorni.

 

Titolo: Il vino della solitudine

Autore: Irène Nèmirovsky

Editore: Elios

Anno: 1947

Lingua: Italiano

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20 marzo 2019: Paola Dubini, Con la cultura non si mangia! Falso!

Il secondo libro scelto dal gruppo di lettura della Rendella è “Con la cultura non si mangia! Falso! di Paola Dubini.

L’AUTORE
Paola Dubini è professore associato di Economia aziendale presso l’Università Bocconi di Milano dal 2001, dove si occupa di strategia e governance delle istituzioni culturali, imprenditorialità in settori digitali e sostenibilità delle organizzazioni culturali. Dal 2001 inoltre è professore di Economia della Cultura e di Economia delle Imprese editoriali presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano. Dal 2009 al 2013 è Direttore di ASK (Art, Science e Knowledge), centro di ricerca su temi legati alla cultura e all’economia. Dal 2010 al 2016 è Direttore del corso di Laurea in Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione e Docente senior dell’area Strategia – SDA Bocconi. Oltre l’ambito accademico, ricopre funzioni di responsabilità all’interno di altre aree di attività: dal 2015 è membro del Comitato Tecnico scientifico del MIBACT in materia di Economia della Cultura; dal 2017 fa parte del gruppo di lavoro MIBACT sugli indicatori di turismo sostenibile. Dal 2018 e fino al 2022 sarà componente del Management team per Milano città creativa Unesco per la letteratura. Attualmente è membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori. Autrice e curatrice di numerose pubblicazioni nazionali ed internazionali sul management in ambito culturale, Paola Dubini scrive sulle trasformazioni in atto nel settore editoriale librario: Voltare pagina? (Pearson, 2013), Institutionalising fragility. Entrepeneurship in cultural organizations (Fondazione Feltrinelli, 2016) e Management delle aziende culturali (con F. Montanari e A. Cirrincione, Egea, 2017) e naturalmente Con la cultura non si mangia. FALSO! (Laterza, 2018).

IL LIBRO
L’espressione, attribuita a Giulio Tremonti, allora ministro dell’Economia, non convince affatto Paola Dubini, che in questo saggio, edito da Laterza nel 2018, vuole rappresentare il valore creato dalla cultura per diverse categorie di interlocutori. Come? Ha sottoposto a una disamina riccamente documentata i destinatari della cultura, il bene pubblico, inteso come “oggetto” tangibile o meno fruibile da tutti o gestita da enti pubblici per lo più popolati da burocrati inefficienti, infine i detentori della cultura, coloro i quali se ne devono occupare, precondizione per mangiarci su. Con la cultura si mangia, vero! A quali condizioni e come? Al pari di altre risorse, non nutre tutti allo stesso modo e spesso non nutre a sufficienza. Al contempo è pure strumento e volàno di sviluppo sostenibile; è “portatrice sana” di ricchezza materiale e immateriale, ha effetto moltiplicatore pari a 1,8 (per ogni euro prodotto dalla cultura, se ne attivano 1,8 in altri settori), ed è anche strumento di risparmio su altro. Per poter attivare meccanismi virtuosi di crescita diffusa, bisogna essere consapevoli che la cultura opera per processi di trasformazione sistematica, ovvero da esercizio estetico diviene pratica. Le statistiche confermano una stretta correlazione tra investimenti in cultura, scolarità e riduzione degli abbandoni scolastici, la salute, l’abbassamento dei livelli di criminalità, l’aumento della qualità percepita della vita. Quale investimento migliore se non in cultura?

 

Titolo: Con la cultura non si mangia! Falso!

Autore: Paola Dubini

Editore: Laterza

Anno: 2018

Lingua: Italiano

Isbn: 9788858133385

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13 febbraio 2019: Don Antonio Milani, Lettera ad una professoressa

Il primo libro scelto dal gruppo di lettura della Rendella è “Lettera a una professoressa” di don Lorenzo Milani.

L’AUTORE
Don Lorenzo Milani è stato un presbitero, insegnante, scrittore ed educatore italiano. Figura controversa della Chiesa cattolica negli anni Cinquanta e Sessanta, è considerato un punto di riferimento per il cattolicesimo socialmente attivo, per il suo impegno civile nell’istruzione dei poveri, la sua difesa dell’obiezione di coscienza e per il valore pedagogico della sua esperienza di maestro. Dal 1954 a Barbiana, un piccolo borgo di montagna dell’Appennino toscano egli portò avanti con rigore evangelico il suo impegno pastorale, indirizzato alla missione educativa a favore degli “ultimi” in una società italiana, caratterizzata negli anni ‘50 da un immobilismo politico e socioculturale. Raggruppò i giovani della parrocchia e offrì loro una scuola gratuita, che avrebbe garantito l’avviamento al mondo professionale aperta 7 giorni su 7, senza sosta. Il pensiero di Don Milani si basava su un’interpretazione profondamente rigorosa della dottrina cattolica, che poneva la fede cristiana e la coscienza individuale ad un livello superiore rispetto all’obbedienza alle leggi dello Stato. Conoscere i ragazzi dei poveri e amare la politica è tutt’uno.

IL LIBRO
Cinquant’anni fa la pubblicazione di un piccolo libro fu la scintilla di una rivoluzione. Questa è la storia di Lettera a una professoressa e della battaglia per la trasformazione della cultura da strumento di oppressione a elemento indispensabile per l’evoluzione democratica e civile del nostro Paese. Una battaglia portata avanti con tenacia e caparbietà da don Lorenzo Milani e dai tanti che incontrò sulla sua strada, primi fra tutti Tullio De Mauro, Mario Lodi e Alex Langer. È il maggio 1967 quando esce, per una piccola casa editrice fiorentina il libro scritto don Lorenzo Milani e dagli alunni della scuola di Barbiana, una canonica del Mugello a pochi chilometri da Firenze. Il libro viene subito accolto dai linguisti come un manuale di pedagogia democratica, dai professori come un prontuario per una scuola alternativa, dagli studenti come il libretto rosso per la rivoluzione. Manifesto che ha reso celebre in tutto il mondo don Milani e la scuola di Barbiana, frutto di una scrittura collettiva sostenuta da un imponente lavoro preparatorio e di cesello linguistico, questo libro-icona rivendica il diritto allo studio di fronte a una realtà scolastica che riproduceva ferocemente le diseguaglianze sociali. E ancora oggi rivolge alla classe docente il suo appassionato appello morale e civile, il rivoluzionario messaggio di un sacerdote convinto che un maestro amante del vero e del giusto può cambiare il mondo.

 

Titolo: Lettera a una professoressa

Autore:Lorenzo Milani

Editore: Libreria editrice fiorentina

Anno: 1969

Lingua: Italiano

Isbn:

 

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